La ricerca globale non è abilitata
Vai al contenuto principale

Quali sono le principali difficoltà riscontrate in ambito professionale dalle persone con disturbi dello spettro autistico?

Molte persone associano il lavoro allo stress, alla produttività, a rapporti interpersonali che possono rivelarsi impegnativi o frustranti. Tutte queste difficoltà risultano amplificate per gli individui con disturbi dello spettro autistico. Numerosi studi dimostrano, infatti, che questi soggetti hanno delle esigenze molto diverse rispetto a individui affetti da altre disabilità dello sviluppo (E. Billstedt C. G., 2005).


Difficoltà comunicative e relative ai rapporti interpersonali     

Che le persone con autismo siano svantaggiate non sorprende, dal momento che il mondo che abbiamo costruito si basa sui legami che riusciamo a instaurare con gli altri. Il lavoro è un ambiente sociale con le sue regole e tradizioni non scritte in cui è difficile muoversi per chiunque e, in particolare, per le persone con disturbi dello spettro autistico. Per accedere ad opportunità lavorative occorre prima affrontare un colloquio e, per ottenerlo, bisogna prima essere capaci di costruire capitale sociale e fare rete. Per chi ha delle difficoltà permanenti nelle interazioni sociali, il processo di ricerca di un impiego rimane un ostacolo considerevole. L’assenza di contatto visivo, o un silenzio prolungato, può influire negativamente sulla possibilità di formare un legame. Eppure le persone con autismo possono inviare involontariamente questi segnali ai quali datrici e datori di lavoro non dovrebbero prestare troppa attenzione per imparare ad avere una visione più ampia delle relazioni. È difficile individuare un impiego ideale per le persone con autismo a causa della diversità dei criteri diagnostici e delle esigenze personali (J.H. Keel, 1997). Secondo Simpson, infatti, l’autismo costituisce una disabilità che sfugge alle definizioni per via degli infiniti mutamenti e combinazioni di deficit ed eccessi linguistici, sensoriali e comportamentali rintracciabili in questi soggetti, caratterizzati anche da abilità, competenze isolate e personalità uniche (Simpson, 2001)

Secondo numerosi studi, le difficoltà di interazione associate ai disturbi dell’aspetto autistico hanno un forte impatto sul piano professionale. (D. Hagner and B.F. Cooney, 2005). Più specificamente, i problemi comunicativi e di socializzazione con supervisori e colleghi inficiano il rendimento lavorativo (Magill Evans, 2001). Fra gli ostacoli comunicativi ricordiamo la difficoltà di comprendere le indicazioni ricevute; l’incapacità di “leggere fra le righe”, di interpretare correttamente le espressioni facciali e il tono della voce, la tendenza a porre troppe domande e comunicare in maniera inappropriata (Chalmers, 2004). Le difficoltà di socializzazione riguardano dei deficit propri delle interazioni e comprendono anche delle lacune nella cura dell’igiene personale e dell’aspetto fisico, difficoltà nel seguire le regole, l’inabilità di comprendere gli stati d’animo, lavorare autonomamente e comportarsi in maniera appropriata con persone del sesso opposto (Magill Evans, 2001). Tali difficoltà possono avere delle ricadute anche sulla capacità di affrontare il processo di selezione del personale.

 

Funzioni esecutive

La compromissione delle funzioni esecutive fra gli individui con disturbi dello spettro autistico è nota e può influire sul rendimento professionale. Molte persone hanno delle difficoltà nell’eseguire i compiti a causa di problemi di concentrazione o relativi alla pianificazione dei movimenti, la capacità di reazione e la memoria di lavoro (E. Müller, 2003). Adattarsi alla routine lavorativa e gestire i cambiamenti nel mondo del lavoro costituisce una sfida (J.H. Keel, 1997). Le persone con disturbi dello spettro autistico possono avere delle difficoltà organizzative e di risoluzione dei problemi, nonostante abbiano un quoziente intellettivo nella media o al di sopra della media (Barnhill, 2007).

Secondo Howlin (2000), molte persone perdono con gli anni la capacità di svolgere determinati compiti a causa del deterioramento di alcune funzioni che può avvenire già nella prima età adulta per le persone che hanno un quoziente intellettivo più basso o soffrono di epilessia.


Difficoltà comportamentali

Le problematiche comportamentali come capricci, aggressività, autolesionismo, danni a cose, comportamenti codificati possono causare dei problemi sul lavoro. Spesso creano delle complicazioni poiché vengono male interpretati, svolgono diverse funzioni e richiedono strategie di gestione sfaccettate (Carr, 1995). Tali comportamenti non sono molto tollerati nei luoghi di lavoro, possono costituire un ostacolo sul piano professionale e portare le persone con autismo a vivere lontane dagli altri (H, 1990).

Stress e ansia

Di conseguenza, le persone con disturbi dello spettro autistico riportano degli alti livelli di stress e ansia che possono interferire con il loro rendimento. Hurlbutt e Chalmers (Chalmers, 2004) hanno intervistato sei adulti con disturbi dello spettro autistico che lamentavano stati fortemente ansiosi a causa del costante tentativo di adattarsi al mondo neurotipico. Inoltre, Burt et al. (D.B. Burt, 1991) hanno osservato che le persone con disturbi dello spettro autistico presentano dei più alti livelli di ansia a causa della loro spiccata sensibilità ai rumori e ad altri stimoli sensoriali. In un altro studio i genitori hanno riferito che l’ansia costituiva per le loro figlie e i loro figli un importante ostacolo al successo negli studi universitari a causa della paura dell’ignoto e delle interazioni sociali (Sarigiani, 2009).

 

Sensibilità sensoriale

Gli stimoli sensoriali nei luoghi di lavoro (telefonate, discussioni fra colleghi e altre distrazioni) possono avere un effetto soverchiante. Tali sfide implicano lo sviluppo di strategie di coping sane e piani per reagire in caso di difficoltà. Richiedono anche una comunicazione con colleghe, colleghi e responsabili per rendere l’ambiente lavorativo più accogliente.

Comorbidità con patologie psichiatriche

Infine, negli individui con disturbi dello spettro autistico è ampiamente documentata la comorbidità con una vasta gamma di sintomi psichiatrici quali depressione, ansia, disturbo bipolare (M. Ghaziuddin, 2002). Inoltre, l’epilessia interessa circa un terzo di questa popolazione (Yang, 2005). È un fatto che i problemi di salute mentale o fisica potrebbero interferire in maniera significativa con la capacità di un individuo di realizzarsi a livello professionale. Schaller e Yang (Yang, 2005) si sono serviti del database della Rehabilitation Services Administration per studiare le caratteristiche demografiche di 815 persone con disturbi dello spettro autistico che hanno raggiunto dei risultati competitivi in ambito professionale: l’assenza di una seconda disabilità era strettamente correlata al successo in ambito lavorativo.

 

Immaginazione sociologica

È vero che alcune persone con autismo hanno un’immaginazione molto fervida, sono creative e possono divenire musicisti, artisti e scrittori di successo. Tuttavia, allo stesso tempo, spesso questi soggetti mancano di immaginazione sociologica, il che vuol dire che possono avere delle difficoltà nel comprendere e interpretare i sentimenti, i pensieri e le azioni altrui. È probabile che abbiano anche delle difficoltà nel cogliere i segnali, nel predire che cosa succederà e capire il concetto di pericolo. Tale tendenza influisce sul modo in cui gli individui si preparano ad affrontare il cambiamento e programmare il futuro, ed è per questo che i soggetti con autismo hanno delle difficoltà nel gestire il cambiamento e le situazioni sconosciute. (Autism Europe, 2014)

 

Discriminazione in ambito professionale

 

Sfortunatamente, ciò può avvenire in molte fasi del processo di inserimento lavorativo e assumere forme diverse, a partire ovviamente dal processo di assunzione rispetto a cui potrebbe essere molto difficile raccogliere delle prove. Tuttavia, una persona con autismo potrebbe non accorgersi di subire discriminazioni in ambito professionale, oppure non sapere quali sono e come esercitare i propri diritti. Infatti, uno studio statunitense relativo alle cause intentate da persone con disabilità che avevano subito discriminazioni da parte dei datori di lavoro ha dimostrato che gli individui con autismo sono meno inclini a denunciare rispetto a soggetti con altre disabilità (Autism Europe, 2014).

 

Mancanza di formazione

Alcuni soggetti hanno fatto notare che i veri ostacoli all’occupazione di questa popolazione non sono legati alle caratteristiche dell’autismo, ma al fatto che determinate idiosincrasie tipiche delle sindrome siano considerate dei deficit e non delle caratteristiche positive nei luoghi di lavoro (T. Lorenz, 2016). Gran parte delle ricerche condotte oggi segnala delle lacune importanti nell’analisi delle sfide quotidiane che impediscono alle persone con disturbi dello spettro autistico di svolgere lavori appaganti.

 

Incomprensioni

Di conseguenza, esiste un importante divario per quanto attiene alla comunicazione fra soggetti neurotipici e neurodiversi. Brett Heasman, (Heasman B, 2018) specializzato nella percezione pubblica dell’autismo, sostiene che datrici e datori di lavoro spesso sono convinti di comunicare bene, ma si servono di standard neuro-tipici. 

Heasman spiega la teoria del problema della doppia empatia. Si parte dal fatto che l’autismo sia una disabilità “nascosta”, senza segni fisici evidenti. La maggior parte delle persone neurotipiche, quindi, non è consapevole dei complessi modi in cui le persone autistiche esperiscono il mondo e non è adeguatamente preparata ad interagire o a lavorare questi soggetti.

Instaurare dei rapporti professionali, poi, costituisce una sfida. Un recente studio (cfr.: https://journals.sagepub.com/doi/full/10.1177/1362361317708287) ;(Heasman and Gillespie, 2017), ha gettato nuova luce sul perché. Sono stati presi in esame i rapporti fra persone con autismo e i loro familiari ed è stato scoperto che molti malintesi non sono dovuti necessariamente a problematiche legate alla persona con autismo. I familiari spesso interpretano le relazioni autistiche dal punto di vista errato, ritenendole come più “egoriferite” di quanto in realtà non siano. Tale malinteso fa sorgere un interrogativo in merito alle valutazioni date da persone neurotipiche su persone autistiche nei processi di assunzione. È evidente che il ‘problema della doppia empatia’ costituisce un gap costante che ostacola la comprensione reciproca dal momento che i soggetti coinvolti hanno diverse aspettative.

Vediamo insieme un esempio tratto da un caso studio riportato da Heasman. 

Una persona con autismo dice di sentirsi a disagio per i continui cambiamenti dei suoi orari lavorativi; non ama prendere parte agli incontri perché si sente criticata e ciò influisce sul resto delle sue attività  lavorative. Il datore di lavoro, invece, desidera sottolineare le modifiche apportate all’ambiente per adattarsi al particolare modo di lavorare del soggetto con autismo (accomodamento ragionevole). Si scopre che nel corso degli incontri il dipendente con autismo mal interpretasse quello che veniva detto. Per tutta risposta, il datore di lavoro ha affermato che non avrebbe avuto problemi se il dipendente con autismo avesse fermato la riunione per porre una domanda o chiedere un chiarimento. Si tratta di una presupposizione problematica perché le e i dipendenti con autismo potrebbero rendersi conto di un fraintendimento solo molto dopo, una volta insorto il problema. E anche qualora il dipendente individui da subito il malinteso, non ci si può aspettare che manifesti il suo dubbio immediatamente. Dire la propria è una competenza sociale complessa. Implica che la persona analizzi la discussioni, individui il momento per inserirsi e segnali a gesti il proprio desiderio di intervenire prima di parlare. 

Un altro problema presentato dal caso studio era dato dal fatto che il datore di lavoro tendeva a concentrarsi sulle critiche costruttive allo scopo di migliorare il modo di lavorare del gruppo. È stato proposto, quindi, di analizzare e sottolineare gli aspetti positivi del lavoro della persona con autismo. Secondo il datore di lavoro, invece, non ce ne sarebbe stato bisogno perché tali elementi sarebbero risultati subito evidenti. Tuttavia, quando al dipendente con autismo sono state chieste delucidazioni in merito, è risultato chiaro che non sapesse che cosa avesse fatto di buono, a causa della scarsa autostima tendeva, infatti, a sminuire gli elogi. 

Pertanto, il datore di lavoro avrebbe dovuto dare più feedback positivi, anche su attività che apparivano ovvie, perché non ci si può aspettare che il dipendente abbia lo stesso grado di consapevolezza riguardo al proprio operato. 

Questi due esempi dimostrano in che modo il datore di lavoro credesse di avere già adottato dei buoni sistemi di comunicazione, quando in realtà la comunicazione si basava su standard di interazione neurotipici. Non c’è dubbio che il datore di lavoro fosse pronto a fare del proprio meglio per gestire il rapporto professionale e avesse apportato già molti aggiustamenti, ma questo racconto dimostra quanto radicate possano essere le nostre percezioni e quanto resti ancora da fare per sensibilizzare imprenditrici e imprenditori e l’opinione pubblica sull’autismo, ascoltando ciò che le persone neuroatipiche hanno da dirci. 

Figura 1. Struttura psicologica delle relazioni (Heasman and Gillespie, 2017)


Nota: * Meta visione = il modo in cui una persona pensa di essere vista dagli altri. I malintesi possono permanere se la meta-visione di una persona è in linea con la visione dell’altra. Fonte: Heasman and Gillespie, 2017.

 

In conclusione, alcune ricercatrici e ricercatori hanno cominciato a studiare gli ostacoli all’occupazione che le persone con disturbo dello spettro autistico sono costrette ad affrontare e le strategie atte a superarli. Le conclusioni sottolineano il valore dell’esperienza lavorativa, dei tirocini e dei programmi di sostegno. Ad esempio, uno studio su adulti autistici (di età compresa fra i 21 e i 25 anni) negli Stati Uniti ha rivelato un tasso di occupazione due volte più alto fra coloro che avevano avuto un lavoro al liceo (60%) rispetto a chi non aveva mai lavorato (40%). Allo stesso modo, un programma statunitense di tirocini per giovani adulti con autismo inseriti in uffici e attività pubbliche (ad es., banche, ospedali, dipartimenti amministrativi) ha dato dei risultati molto positivi. Uno studio comparativo ha dimostrato che l’87,5% delle e dei partecipanti al programma aveva ottenuto un impiego, contro il 6,25% di coloro che non avevano aderito (Pellicano, 2017).

Discriminazione

In linea con le indicazioni contenute nel rapporto sulle buone pratiche per l’occupazione delle persone con autismo provenienti da diversi parti d’Europa, è possibile concludere che tali ostacoli non sono legati solo alla disabilità. Le persone con autismo sono costrette a fare i conti con stigmatizzazioni e discriminazioni nel processo di selezione. Ciononostante, gli adulti con autismo spesso vogliono davvero lavorare e sono straordinariamente capaci. Hanno solo bisogno di aiuto per superare gli ostacoli e le difficoltà che affrontano.


 

Scarica questo contenuto

Continua >


< Torna al Modulo 2